AntiKomunista
2008-09-16 15:32:24 UTC
Questo era il folle pensiero ispiratore delle sue scorrerie banditesche:
".L'odio come fattore di lotta, l'odio intransigente per il nemico, che
spinge l'essere umano oltre i limiti naturali e lo trasforma in un'efficace,
violenta, selettiva e fredda macchina per uccidere. I nostri soldati devono
essere così; un popolo senza odio non può trionfare su un nemico." Da
"Messaggio alla Tricontinentale" (1967)
La sua carriera di "rivoluzionario" comincia con il compagno di galera Fidel
Castro.
E non fu certo un "grande rivoluzionario", il suo maggior successo contro
Batista fu la conquista della città di Santa Clara, ma il fatto è stato
recentemente messo in discussione, pare che la resa sia stata concordata in
cambio di una forte somma di danaro. ("Il mito Che Guevara e il futuro della
libertà" di Vargas Llosa)
Come compenso al suo aiuto per la "rivoluzione cubana" gli vennero date in
mano, tra il 1959 e il 1961, le leve dell'economia cubana, prima come
direttore della Banca Nazionale, poi come ministro dell'Industria.
I risultati furono DISASTROSI. In quel periodo, si verificò il crollo
pressoché completo della produzione di zucchero, l'industrializzazione fallì
del tutto e si dovette ricorrere al razionamento.
La riforma agraria fu una truffa ai danni del proletariato: le terre
sottratte ai ricchi non finirono ai contadini ma agli uomini dell'apparato e
a loro rimarranno per sempre come proprietà governativa, solo oggi, dopo il
"forfait" di Fidel, c'è qualche timida apertura concedendo dei pezzetti di
terra in "affitto".
A rivoluzione finita, nel 1959, Guevara diresse la prigione di La Cabaña,
anche nota come "galera de la muerte".
Forte di questa esperienza fondò uno tra i più repressivi apparati
polizieschi e, come capo della polizia, spalancò progressivamente le porte
dei campi di concentramento ai dissidenti, omosessuali, vittime dell'Aids,
cattolici, testimoni di Geova, sacerdoti afro-cubani e altri indesiderabili.
A riprova del suo istinto sanguinario, omofobico e razzista.
Visto il generale scontento ed il suo pesante fallimento nell'economia e nel
"sociale" di Cuba lo stesso Fidel Castro lo allontanò progressivamente dal
potere.
Il Che emigra in Africa, dove girovagherà per qualche mese, al suo ritorno
va a fare una visitina a Castro, il quale lo considerò come un perfetto
ospite: quello che dopo tre giorni puzza.
Dopo il divorzio forzato da Fidel Castro andò a fare il "rivoluzionario" a
PAGAMENTO nel Congo, contro il locale governo appoggiato dagli USA.
Il nostro MERCENARIO, aggregato a due sanguinari ribelli (Mulele e Kabila),
fece carne da macello nella città di Stanleyville, uccidendo chiunque
sapesse leggere e portasse la cravatta.
Fu il fallimento più completo!
Nel 1965 capì che non era più aria per lui, scappò dal Congo e passò in
Bolivia dove trascorse poco più di un anno, 1966/67.
Le sue azioni in Bolivia furono al limite della più bambinesca incompetenza
e cretineria. Un attraversamento sconsiderato delle terre boliviane in
compagnia di una trentina di disperati, che avevano spavaldamente assunto il
nome di "Esercito di Liberazione Nazionale di Bolivia", tra morti e
disertori i disperati si ridurranno progressivamente ad una ventina.
Non aveva né consenso né un fine specifico se non quello della violenza fine
a se stessa, fu bellamente fanculato perfino dal PCB (Partito Comunista
Boliviano).
Non ebbe MAI l'approvazione della popolazione, e la sua unica preoccupazione
fu quella di trovare mais e maiali per ammazzare la fame e ogni tanto fare
qualche indigestione.
In poco più di un anno di avventura boliviana ebbe solo sei-sette scontri
(che lui chiamava pomposamente "agguati") con le forze governative alle
quali procurò una ventina di morti.
Alla maggior parte di questi scontri NON partecipò MAI personalmente.
Finché, ormai sulle palle a tutti, amici e nemici, non venne messo in
condizione di essere catturato. Fu preso nella gola dello Yulo l'8 ottobre
1967 e mandato al creatore il giorno dopo.
Anche durante la sua cattura non si comportò certo da eroe: i suoi compagni
si fecero uccidere tutti sul posto con le armi in pugno, lui si era defilato
dal luogo dello scontro e appena i soldati lo trovarono berciò: "Non
sparate! Io sono Che Guevara e per voi valgo più da vivo che da morto."
L'altro scampato, come lui defilato dal campo di battaglia e ucciso in
seguito, fu quello che il Che chiama "Medico" nel libro "Diario in Bolivia"
dove Fidel Castro ha fatto riordinare i foglietti del diario di Guevara.
Due personcine tutt'altro che "guerrigliere"!
Eppure nel suo "Ideario" ha scritto:
".La guerra di guerriglia è guerra di popolo, è lotta di masse. Pretendere
di realizzare questo tipo di guerra senza il sostegno della popolazione è il
preludio di un disastro inevitabile."
Ma fu così imbecille da non tenerne mai conto, nemmeno a Cuba.
Adesso le sinistre, senza ormai altri riferimenti validi, considerano
stupidamente il Che un simbolo di libertà, uguaglianza, ribellione al
dispotismo, addirittura pacifismo.
E si coglie il pesante paradosso: le sue immagini sono ridotte al più
classico marchio capitalista.
Infatti la sua grinta (quella diffusa nel mondo dall'editore rosso
Feltrinelli) è impressa su tazze, felpe, accendini, portachiavi, berretti,
sciarpe, bandane, camicie, borse, jeans e confezioni di the alle erbe.
Falsa, patetica immagine, che i comunisti comprano alla faccia del marxismo.
Un'immagine che non corrisponde certo a quella dei suoi ultimi giorni in
Bolivia: era scomparso il nero dei capelli, ed era un uomo bianchiccio,
ingrassato, con ciuffi bianchi ai lati delle orecchie.
Comunisti. buttateli a mare prima i comunisti e poi i romeni delinquenti.
".L'odio come fattore di lotta, l'odio intransigente per il nemico, che
spinge l'essere umano oltre i limiti naturali e lo trasforma in un'efficace,
violenta, selettiva e fredda macchina per uccidere. I nostri soldati devono
essere così; un popolo senza odio non può trionfare su un nemico." Da
"Messaggio alla Tricontinentale" (1967)
La sua carriera di "rivoluzionario" comincia con il compagno di galera Fidel
Castro.
E non fu certo un "grande rivoluzionario", il suo maggior successo contro
Batista fu la conquista della città di Santa Clara, ma il fatto è stato
recentemente messo in discussione, pare che la resa sia stata concordata in
cambio di una forte somma di danaro. ("Il mito Che Guevara e il futuro della
libertà" di Vargas Llosa)
Come compenso al suo aiuto per la "rivoluzione cubana" gli vennero date in
mano, tra il 1959 e il 1961, le leve dell'economia cubana, prima come
direttore della Banca Nazionale, poi come ministro dell'Industria.
I risultati furono DISASTROSI. In quel periodo, si verificò il crollo
pressoché completo della produzione di zucchero, l'industrializzazione fallì
del tutto e si dovette ricorrere al razionamento.
La riforma agraria fu una truffa ai danni del proletariato: le terre
sottratte ai ricchi non finirono ai contadini ma agli uomini dell'apparato e
a loro rimarranno per sempre come proprietà governativa, solo oggi, dopo il
"forfait" di Fidel, c'è qualche timida apertura concedendo dei pezzetti di
terra in "affitto".
A rivoluzione finita, nel 1959, Guevara diresse la prigione di La Cabaña,
anche nota come "galera de la muerte".
Forte di questa esperienza fondò uno tra i più repressivi apparati
polizieschi e, come capo della polizia, spalancò progressivamente le porte
dei campi di concentramento ai dissidenti, omosessuali, vittime dell'Aids,
cattolici, testimoni di Geova, sacerdoti afro-cubani e altri indesiderabili.
A riprova del suo istinto sanguinario, omofobico e razzista.
Visto il generale scontento ed il suo pesante fallimento nell'economia e nel
"sociale" di Cuba lo stesso Fidel Castro lo allontanò progressivamente dal
potere.
Il Che emigra in Africa, dove girovagherà per qualche mese, al suo ritorno
va a fare una visitina a Castro, il quale lo considerò come un perfetto
ospite: quello che dopo tre giorni puzza.
Dopo il divorzio forzato da Fidel Castro andò a fare il "rivoluzionario" a
PAGAMENTO nel Congo, contro il locale governo appoggiato dagli USA.
Il nostro MERCENARIO, aggregato a due sanguinari ribelli (Mulele e Kabila),
fece carne da macello nella città di Stanleyville, uccidendo chiunque
sapesse leggere e portasse la cravatta.
Fu il fallimento più completo!
Nel 1965 capì che non era più aria per lui, scappò dal Congo e passò in
Bolivia dove trascorse poco più di un anno, 1966/67.
Le sue azioni in Bolivia furono al limite della più bambinesca incompetenza
e cretineria. Un attraversamento sconsiderato delle terre boliviane in
compagnia di una trentina di disperati, che avevano spavaldamente assunto il
nome di "Esercito di Liberazione Nazionale di Bolivia", tra morti e
disertori i disperati si ridurranno progressivamente ad una ventina.
Non aveva né consenso né un fine specifico se non quello della violenza fine
a se stessa, fu bellamente fanculato perfino dal PCB (Partito Comunista
Boliviano).
Non ebbe MAI l'approvazione della popolazione, e la sua unica preoccupazione
fu quella di trovare mais e maiali per ammazzare la fame e ogni tanto fare
qualche indigestione.
In poco più di un anno di avventura boliviana ebbe solo sei-sette scontri
(che lui chiamava pomposamente "agguati") con le forze governative alle
quali procurò una ventina di morti.
Alla maggior parte di questi scontri NON partecipò MAI personalmente.
Finché, ormai sulle palle a tutti, amici e nemici, non venne messo in
condizione di essere catturato. Fu preso nella gola dello Yulo l'8 ottobre
1967 e mandato al creatore il giorno dopo.
Anche durante la sua cattura non si comportò certo da eroe: i suoi compagni
si fecero uccidere tutti sul posto con le armi in pugno, lui si era defilato
dal luogo dello scontro e appena i soldati lo trovarono berciò: "Non
sparate! Io sono Che Guevara e per voi valgo più da vivo che da morto."
L'altro scampato, come lui defilato dal campo di battaglia e ucciso in
seguito, fu quello che il Che chiama "Medico" nel libro "Diario in Bolivia"
dove Fidel Castro ha fatto riordinare i foglietti del diario di Guevara.
Due personcine tutt'altro che "guerrigliere"!
Eppure nel suo "Ideario" ha scritto:
".La guerra di guerriglia è guerra di popolo, è lotta di masse. Pretendere
di realizzare questo tipo di guerra senza il sostegno della popolazione è il
preludio di un disastro inevitabile."
Ma fu così imbecille da non tenerne mai conto, nemmeno a Cuba.
Adesso le sinistre, senza ormai altri riferimenti validi, considerano
stupidamente il Che un simbolo di libertà, uguaglianza, ribellione al
dispotismo, addirittura pacifismo.
E si coglie il pesante paradosso: le sue immagini sono ridotte al più
classico marchio capitalista.
Infatti la sua grinta (quella diffusa nel mondo dall'editore rosso
Feltrinelli) è impressa su tazze, felpe, accendini, portachiavi, berretti,
sciarpe, bandane, camicie, borse, jeans e confezioni di the alle erbe.
Falsa, patetica immagine, che i comunisti comprano alla faccia del marxismo.
Un'immagine che non corrisponde certo a quella dei suoi ultimi giorni in
Bolivia: era scomparso il nero dei capelli, ed era un uomo bianchiccio,
ingrassato, con ciuffi bianchi ai lati delle orecchie.
Comunisti. buttateli a mare prima i comunisti e poi i romeni delinquenti.