.sergio.
2008-11-10 18:52:17 UTC
CON LA RIVOLUZIONE D'OTTOBRE È INIZIATA UNA NUOVA EPOCA NELLA STORIA
MONDIALE
Questo scritto di Lenin - del 14 ottobre 1921 - nell'originale è
titolato: "Per il quarto Anniversario della Rivoluzione d'Ottobre" ed è
pubblicato nelle Opere complete di Lenin edite in Italia dagli Editori
Riuniti (vol. 33, pp. 37-45).
Si avvicina il quarto anniversario del 25 ottobre (7 novembre).
Quanto più ci allontaniamo da questo grande giorno, tanto più chiaro
diviene il significato della rivoluzione proletaria in Russia e tanto più
profondamente riflettiamo anche sull'esperienza pratica del nostro lavoro,
considerato nel suo complesso.
In un abbozzo brevissimo - e lungi, naturalmente, dall'esser completo e
preciso - questo significato e questa esperienza potrebbero essere
tratteggiati nel modo seguente. Il compito più diretto e immediato della
rivoluzione in Russia era un compito democratico-borghese: eliminare i
residui del medioevo, spazzarli via completamente, epurare la Russia da
questa barbarie, da questa vergogna, da questo ostacolo grandissimo a ogni
cultura e a ogni progresso del nostro paese.
E noi abbiamo il diritto d'esser fieri di aver compiuto questa epurazione
molto più recisamente, rapidamente, arditamente, vittoriosamente,
ampiamente e profondamente, dal punto di vista delle ripercussioni sulle
masse del popolo, sulle folle, di quanto non avesse fatto la grande
rivoluzione francese più di centoventicinque anni fa.
Gli anarchici e i democratici piccolo-borghesi (cioè i menscevichi e i
socialisti-rivoluzionari, rappresentanti russi di questo tipo sociale
internazionale) hanno detto e dicono innumerevoli sciocchezze sulla
questione dei rapporti fra la rivoluzione democratico-borghese e la
rivoluzione socialista (cioè proletaria). La giustezza della nostra
concezione del marxismo su questo punto e il conto che facciamo
dell'esperienza delle rivoluzioni precedenti son stati pienamente
confermati durante quattro anni. Noi abbiamo condotto la rivoluzione
democratico-borghese sino alla fine, come nessun altro. Noi procediamo con
piena coscienza, fermezza ed inflessibilità verso la rivoluzione
socialista, sapendo che essa non è separata da una muraglia cinese dalla
rivoluzione democratico-borghese, sapendo che soltanto la lotta deciderà
in quale misura (in fin dei conti) riusciremo ad avanzare, quale parte del
compito incomparabilmente elevato noi adempiremo, quale parte delle nostre
vittorie consolideremo. Chi vivrà vedrà. Ma noi vediamo fin d'ora che si è
fatto un lavoro enorme, gigantesco - in un paese devastato, esaurito,
arretrato - per la causa della trasformazione socialista della società.
Concludiamo, tuttavia, sul contenuto democratico-borghese della nostra
rivoluzione. I marxisti devono comprendere che cosa significa questo.
Prendiamo, a chiarimento, degli esempi evidenti.
Dire che la rivoluzione ha un contenuto democratico-borghese significa
che i rapporti sociali (il regime, le istituzioni) del paese si sono
epurati da tutto ciò che è medioevale, dalla servitù della gleba, dal
feudalesimo.
Quali erano nel 1917, in Russia, le principali manifestazioni, le
principali sopravvivenze, i principali residui della servitù della gleba?
La monarchia, la divisione in caste, la proprietà fondiaria, il godimento
della terra, la condizione della donna, la religione, l'oppressione
nazionale. Prendete una qualunque di queste "stalle di Augia", - che, tra
parentesi, sono state lasciate in condizioni di notevole sporcizia in
tutti gli Stati più progrediti dopo il compimento della loro rivoluzione
democratico-borghese centoventicinque, duecentocinquanta e più anni fa
(1649 in Inghilterra), - prendete una qualunque di queste stalle di Augia
e vedrete che noi le abbiamo ripulite completamente. In poco più di dieci
settimane, - dal 25 ottobre (7 novembre) 1917, allo scioglimento
dell'Assemblea costituente (5 gennaio 1918) - abbiamo fatto in questo
campo mille volte più dei democratici e liberali borghesi (cadetti) e dei
democratici piccolo-borghesi (menscevichi e socialisti-rivoluzionari)
negli otto mesi del loro potere.
Questi vili, questi chiacchieroni, questi Narcisi innamorati di se stessi,
queste figure amletiche, minacciavano con spade di cartone e non hanno
neppure distrutto la monarchia! Noi abbiamo spazzato via tutto il luridume
monarchico come nessun altro aveva mai fatto. Noi non abbiamo lasciato
pietra su pietra, mattone su mattone dell'edificio secolare delle caste (i
paesi più avanzati come l'Inghilterra, la Francia, la Germania non si sono
ancora sbarazzati fino ad oggi dei resti del regime di casta!). Le radici
più profonde del regime di casta, e precisamente i residui del feudalesimo
e di servaggio nella proprietà fondiaria, sono state divelte completamente
da noi. "Si può discutere" (vi sono all'estero abbastanza letterati,
cadetti, menscevichi e socialisti-rivoluzionari che s'interessano a queste
discussioni) su che cosa, "in fin dei conti", verrà fuori dalle
trasformazioni agrarie della grande rivoluzione d'ottobre. Per il momento
non abbiamo nessun desiderio di sprecare il tempo in queste discussioni,
giacché noi decidiamo le controversie e tutte le relative polemiche con la
lotta. Ma non si può contestare il fatto che, per otto mesi, i democratici
piccolo-borghesi "si sono conciliati" con i grandi proprietari fondiari, i
quali conservavano le tradizioni della servitù della gleba, e che noi, in
qualche settimana, abbiamo completamente cancellato dalla faccia della
terra russa questi grandi proprietari fondiari e tutte le loro tradizioni.
Prendete la religione o le condizioni della donna, priva di ogni diritto,
oppure l'oppressione e l'ineguaglianza giuridica delle nazioni non russe.
Questi sono tutti problemi della rivoluzione democratico-borghese. Gli
zoticoni della democrazia piccolo-borghese ne hanno chiacchierato per otto
mesi. In neppure uno dei paesi più avanzati del mondo questi problemi sono
stati risolti interamente in senso democratico-borghese. Da noi sono stati
risolti completamente dalla legislazione della rivoluzione d'ottobre. Noi
abbiamo lottato e lottiamo seriamente contro la religione. Noi abbiamo
dato a tutte le nazionalità non russe le loro proprie repubbliche o
regioni autonome. Da noi, in Russia, non esiste quell'ignominia,
quell'obbrobrio, quella viltà che è la negazione totale o parziale dei
diritti delle donne, indegna sopravvivenza della servitù della gleba e del
medioevo, rinvigorita dalla cupida borghesia e dalla piccola borghesia
imbecille e timorosa in tutti, senza eccezione, i paesi del globo
terrestre.
Tutto ciò è il contenuto della rivoluzione democratico-borghese.
Centocinquanta o duecentocinquant'anni fa, i capi più avanzati di tale
rivoluzione (di tali rivoluzioni, se si vuol parlare di ogni forma
nazionale di un unico tipo generale) hanno promesso ai popoli di liberare
l'umanità dai privilegi medioevali, dall'ineguaglianza della donna, dai
vantaggi concessi dallo Stato a questa o a quella religione (o all'"idea
religiosa", alla "religiosità" in generale), dall'ineguaglianza delle
nazioni. Hanno promesso, ma non hanno mantenuto. Non hanno potuto
mantenere perché sono stati ostacolati dal "rispetto" per la "sacra
proprietà privata". Nella nostra rivoluzione proletaria questo maledetto
"rispetto" per questo medioevo tre volte maledetto e per questa "sacra
proprietà privata" non c'è stato.
Ma, al fine di consolidare per i popoli della Russia le conquiste della
rivoluzione democratica borghese, noi dovevamo spingerci oltre e ci siamo
spinti oltre. Abbiamo risolto i problemi della rivoluzione democratica
borghese cammin facendo, come un "prodotto accessorio" del nostro lavoro
vero ed essenziale, del nostro lavoro proletario-rivoluzionario,
socialista. Le riforme - abbiamo sempre detto - sono un prodotto
accessorio della lotta rivoluzionaria di classe. Le trasformazioni
democratiche borghesi - abbiamo detto e dimostrato con i fatti - sono un
prodotto accessorio della rivoluzione proletaria, cioè socialista.
D'altronde, tutti i Kautsky, Hilferding, Martov, Cernov, Hillquit,
Longuet, MacDonald, Turati e gli altri eroi del marxismo "due e mezzo" non
hanno saputo comprendere tale nesso tra rivoluzione democratica borghese e
rivoluzione proletaria socialista. La prima si trasforma nella seconda. La
seconda risolve cammin facendo i problemi della prima. La seconda
consolida l'opera della prima. La lotta e soltanto la lotta decide sino a
qual punto la seconda riesce nel suo sviluppo a superare la prima.
Il regime sovietico è appunto una delle conferme o manifestazioni evidenti
di questa trasformazione di una rivoluzione nell'altra. Il regime
sovietico significa massima democrazia per gli operai e i contadini e, al
tempo stesso, rottura con la democrazia borghese e comparsa di un nuovo
tipo di democrazia di importanza storica mondiale, e precisamente della
democrazia proletaria o dittatura del proletario.
I cani e i porci della borghesia moribonda e della democrazia
piccolo-borghese, che si trascinano al suo seguito, ci coprano pure di un
cumulo di maledizioni, di ingiurie, di beffe per i nostri insuccessi ed i
nostri errori nell'organizzazione del nostro regime sovietico. Noi non
dimentichiamo, neanche per un minuto, che abbiamo effettivamente subìto e
subiamo molti scacchi, abbiamo commesso e commettiamo tuttora molti
errori. Come se si potessero evitare gli scacchi e gli errori in
un'impresa nuova, nuova per tutta la storia del mondo, qual è la creazione
di un tipo di struttura statale che non ha esempi! Noi lotteremo
inflessibilmente per rimediare ai nostri scacchi e ai nostri errori, per
migliorare l'applicazione, ancora ben lontana dall'essere perfetta, dei
princìpi sovietici. Ma abbiamo il diritto di esser fieri - e siamo fieri -
che ci sia toccata la fortuna d'incominciare la costruzione dello Stato
sovietico, d'iniziare perciò una nuova epoca della storia mondiale,
l'epoca del dominio di una nuova classe, oppressa in tutti i paesi
capitalistici e che dappertutto marcia verso una vita nuova, verso la
vittoria sulla borghesia, verso la dittatura del proletariato, verso la
liberazione dell'umanità dal giogo del capitale, dalle guerre imperialiste.
Il problema delle guerre imperialiste, di quella politica internazionale
del capitale finanziario che oggi predomina in tutto il mondo, che fa
nascere inevitabilmente nuove guerre imperialiste e che genera
inevitabilmente una intensificazione inaudita dell'oppressione nazionale,
del saccheggio, del brigantaggio, del soffocamento delle piccole nazioni
deboli e arretrate ad opera di un pugno di potenze "più avanzate", questo
problema è stato, fin dal 1914, il problema fondamentale di tutta la
politica di tutti i paesi del mondo. È questa una questione di vita o di
morte per decine di milioni di uomini. La questione sta in questi termini:
nella prossima guerra imperialista - che la borghesia prepara sotto i
nostri occhi, che sorge dal capitalismo sotto i nostri occhi - si
massacreranno 20 milioni di uomini (invece di 10 milioni uccisi nella
guerra del 1914-1918 e nelle "piccole" guerre complementari, non ancora
finite); saranno mutilati - in questa prossima guerra, inevitabile (se si
manterrà il capitalismo) - 60 milioni di uomini (invece di 30 milioni di
mutilati nel 1914-1918). Anche in questa questione, la nostra rivoluzione
d'ottobre ha iniziato una nuova epoca nella storia mondiale. I servitori
della borghesia e i loro portavoce (i socialisti-rivoluzionari, i
menscevichi e tutta la democrazia piccolo-borghese, sedicente
"socialista", di tutto il mondo) schernivano la parola d'ordine della
"trasformazione della guerra imperialista in guerra civile". Ma questa
parola d'ordine è risultata l'unica verità, sgradevole, brutale, nuda,
crudele - questo è giusto - ma una verità fra le miriadi degli inganni
sciovinisti e pacifisti più raffinati. Questi inganni si dissipano. La
pace di Brest è smascherata. Ogni giorno, inesorabilmente, si smascherano
sempre più la portata e le conseguenze della pace di Versailles, peggiore
ancora di quella di Brest. E sempre più chiara, sempre più precisa, sempre
più ineluttabile, davanti a milioni e milioni di uomini che meditano sulle
cause della guerra di ieri e della incombente guerra futura, sorge la
terribile verità: non ci si può liberare dalla guerra imperialista e dalla
pace (se avessimo ancora la vecchia ortografia, scriverei qui due volte la
parola mir nei suoi due significati) imperialista che inevitabilmente la
genera, non ci si può strappare a quest'inferno se non con la lotta
bolscevica e la rivoluzione bolscevica.
La borghesia e i pacifisti, i generali e i piccoli borghesi, i capitalisti
e i filistei, tutti i cristiani credenti e tutti i paladini della II
Internazionale e della Internazionale due e mezzo insultino pure
furiosamente questa rivoluzione. Con tutto il loro torrente di malvagità,
di calunnie e di menzogne essi non oscureranno il fatto, d'importanza
storica mondiale, che, per la prima volta dopo centinaia di migliaia di
anni, gli schiavi hanno risposto alla guerra tra i padroni di schiavi con
l'aperta proclamazione della parola d'ordine: trasformiamo questa guerra
tra schiavisti per la ripartizione del bottino in una guerra degli schiavi
di tutte le nazioni contro gli schiavisti di tutte le nazioni!
Per la prima volta dopo centinaia e migliaia di anni questa parola
d'ordine si è trasformata, da confusa e impotente aspettazione, in un
programma politico chiaro e preciso, in una lotta attiva di milioni di
oppressi sotto la guida del proletariato, in una prima vittoria del
proletariato, in una prima vittoria della causa dell'unione degli operai
di tutti i paesi contro l'unione della borghesia delle diverse nazioni, di
quella borghesia che fa la guerra e conclude la pace a spese degli schiavi
del capitale, a spese degli operai salariati, a spese dei contadini, a
spese dei lavoratori. Questa prima vittoria non è ancora una vittoria
definitiva ed è stata ottenuta dalla nostra rivoluzione d'ottobre
attraverso ostacoli e difficoltà senza uguali, sofferenze inaudite,
attraverso una serie di insuccessi e di errori grandissimi da parte
nostra. Come se, da solo, un popolo arretrato avesse potuto vincere senza
insuccessi e senza errori le guerre imperialiste dei paesi più potenti e
più avanzati del mondo! Noi non abbiamo paura di riconoscere i nostri
errori e li esaminiamo spassionatamente per imparare a correggerli. Ma il
fatto rimane: per la prima volta, dopo centinaia e migliaia di anni, la
promessa di "rispondere" alla guerra tra gli schiavisti con la rivoluzione
degli schiavi contro tutti gli schiavisti è stata mantenuta fino in fondo
e lo è stata malgrado tutte le difficoltà.
Noi abbiamo cominciato quest'opera. Quando, entro che termine
precisamente, i proletari la condurranno a termine? Ed a quale nazione
apparterranno coloro che la condurranno a termine? Non è questa la
questione essenziale. È essenziale il fatto che il ghiaccio è rotto, la
via è aperta, la strada è segnata.
Continuate pure le vostre ipocrisie, signori capitalisti di tutti i paesi,
che "difendete la patria" giapponese contro quella americana, l'americana
contro la giapponese, la francese contro l'inglese, ecc.! E voi, signori
paladini della II Internazionale e della Internazionale due e mezzo,
insieme con tutti i piccoli borghesi pacifisti e tutti i filistei del
mondo, continuate pure a "eludere" la questione dei mezzi di lotta contro
le guerre imperialiste con dei nuovi "manifesti di Basilea" (sul modello
del Manifesto di Basilea nel 1912). Alla guerra imperialista, alla pace
imperialista, la prima rivoluzione bolscevica ha strappato i primi cento
milioni di uomini. Le rivoluzioni successive strapperanno a simili guerre
ed a simili paci l'umanità intera.
E l'ultima nostra opera - la più importante, la più difficile, la più
incompiuta - è l'organizzazione economica, la costruzione di una base
economica per il nuovo edificio socialista che sostituisce quello vecchio
e feudale distrutto, e quello capitalista semidistrutto. In questa opera,
che è la più difficile e la più importante, abbiamo, più che in ogni
altra, subìto insuccessi e commesso errori. Come se si potesse
incominciare senza insuccessi e senza errori un'opera simile, nuova al
mondo! Ma noi l'abbiamo iniziata. Noi la continuiamo. Noi correggiamo
appunto ora, con la nostra "nuova politica economica", tutta una serie di
errori da noi commessi, impariamo come si deve proseguire nella
costruzione dell'edificio socialista, in un paese di piccoli contadini,
senza cadere in questi errori.
Le difficoltà sono immense. Noi siamo abituati a lottare contro difficoltà
immense. Non per nulla i nostri nemici ci hanno soprannominato uomini
"granitici" e rappresentanti di una "politica che spezza le ossa". Ma noi
abbiamo imparato anche, per lo meno sino a un certo punto, un'altra arte,
necessaria alla rivoluzione: la flessibilità, la capacità di cambiare
rapidamente e bruscamente la nostra tattica, di tenere in considerazione i
mutamenti delle condizioni obiettive, di scegliere una nuova via verso il
nostro scopo se quella di prima si è dimostrata inapplicabile, impossibile
per un determinato periodo di tempo.
Trasportati dall'ondata dell'entusiasmo e avendo risvegliato l'entusiasmo
popolare - prima genericamente politico e poi militare - noi contavamo di
adempiere direttamente, sulla base di questo entusiasmo, anche i compiti
economici non meno grandi di quelli politici e di quelli militari. Noi
contavamo - o forse, più esattamente, ci proponevamo, senza aver fatto un
calcolo sufficiente - di organizzare, con ordini diretti dello Stato
proletario, la produzione statale e la ripartizione statale dei prodotti
su base comunista in un paese di piccoli contadini. La vita ci ha rivelato
il nostro errore. Occorreva una serie di fasi transitorie: il capitalismo
di Stato e il socialismo, per preparare - con un lavoro di una lunga serie
d'anni - il passaggio al comunismo. Non direttamente sull'entusiasmo, ma
con l'aiuto dell'entusiasmo nato dalla grande rivoluzione, basandovi sullo
stimolo personale, sull'interesse personale, sul calcolo economico,
prendetevi la pena di costruire dapprima un solido ponte che, in un paese
di piccoli contadini, attraverso il capitalismo di Stato, conduca verso il
socialismo, altrimenti voi non arriverete al comunismo, altrimenti voi non
condurrete decine e decine di milioni di uomini al comunismo. Questo ci ha
detto la vita. Questo ci ha detto il corso obiettivo seguito dalla
rivoluzione.
E noi, che in tre o quattro anni abbiamo imparato un poco a compiere
svolte repentine (quando sono necessarie), abbiamo cominciato con zelo,
con attenzione, con perseveranza (benché non ancora con abbastanza zelo,
con attenzione e perseveranza) a studiare la nuova svolta della "nuova
politica economica". Lo Stato proletario deve diventare un "padrone"
cauto, scrupoloso, esperto, un commerciante all'ingrosso puntuale, perché
altrimenti non potrà mettere economicamente sulla buona via un paese di
piccoli contadini. Oggi, nelle condizioni attuali, accanto all'occidente
capitalista (ancora capitalista per il momento), non c'è altro mezzo per
passare al comunismo. Un commerciante all'ingrosso sembrerebbe un tipo
economico lontano dal comunismo come il cielo dalla terra. Ma questa è
appunto una delle contraddizioni che, nella vita reale, attraverso il
capitalismo di Stato, conducono dalla piccola azienda contadina al
socialismo. L'interesse personale eleva la produzione, e noi abbiamo
bisogno dell'aumento della produzione, innanzi tutto e a qualunque costo.
Il commercio all'ingrosso unisce economicamente milioni di piccoli
contadini, in quanto li interessa, li spinge a gradini economici
superiori, a diverse forme di collegamento e di associazione nella
produzione stessa. Noi abbiamo già cominciato la necessaria
riorganizzazione della nostra politica economica. In questo campo
registriamo già alcuni successi, non grandi, è vero, parziali, ma
indubbiamente dei successi. Noi siamo già alla fine del corso preparatorio
in questo campo della nuova "scienza". Con uno studio tenace e
perseverante, verificando praticamente l'esperienza di ogni nostro passo,
non temendo di rifare più volte ciò che si è incominciato, correggendo i
nostri errori, considerandone attentamente il significato, noi passeremo
anche nelle classi successive. Noi seguiremo tutto il "corso" quantunque
le circostanze della economia e della politica mondiale lo abbiano reso
molto più lungo e difficile di quanto non avremmo voluto. Per quanto siano
dure le sofferenze del periodo di transizione, le calamità, la fame, lo
sfacelo, noi non ci perderemo d'animo e, ad ogni costo, condurremo la
nostra causa a una conclusione vittoriosa.
MONDIALE
Questo scritto di Lenin - del 14 ottobre 1921 - nell'originale è
titolato: "Per il quarto Anniversario della Rivoluzione d'Ottobre" ed è
pubblicato nelle Opere complete di Lenin edite in Italia dagli Editori
Riuniti (vol. 33, pp. 37-45).
Si avvicina il quarto anniversario del 25 ottobre (7 novembre).
Quanto più ci allontaniamo da questo grande giorno, tanto più chiaro
diviene il significato della rivoluzione proletaria in Russia e tanto più
profondamente riflettiamo anche sull'esperienza pratica del nostro lavoro,
considerato nel suo complesso.
In un abbozzo brevissimo - e lungi, naturalmente, dall'esser completo e
preciso - questo significato e questa esperienza potrebbero essere
tratteggiati nel modo seguente. Il compito più diretto e immediato della
rivoluzione in Russia era un compito democratico-borghese: eliminare i
residui del medioevo, spazzarli via completamente, epurare la Russia da
questa barbarie, da questa vergogna, da questo ostacolo grandissimo a ogni
cultura e a ogni progresso del nostro paese.
E noi abbiamo il diritto d'esser fieri di aver compiuto questa epurazione
molto più recisamente, rapidamente, arditamente, vittoriosamente,
ampiamente e profondamente, dal punto di vista delle ripercussioni sulle
masse del popolo, sulle folle, di quanto non avesse fatto la grande
rivoluzione francese più di centoventicinque anni fa.
Gli anarchici e i democratici piccolo-borghesi (cioè i menscevichi e i
socialisti-rivoluzionari, rappresentanti russi di questo tipo sociale
internazionale) hanno detto e dicono innumerevoli sciocchezze sulla
questione dei rapporti fra la rivoluzione democratico-borghese e la
rivoluzione socialista (cioè proletaria). La giustezza della nostra
concezione del marxismo su questo punto e il conto che facciamo
dell'esperienza delle rivoluzioni precedenti son stati pienamente
confermati durante quattro anni. Noi abbiamo condotto la rivoluzione
democratico-borghese sino alla fine, come nessun altro. Noi procediamo con
piena coscienza, fermezza ed inflessibilità verso la rivoluzione
socialista, sapendo che essa non è separata da una muraglia cinese dalla
rivoluzione democratico-borghese, sapendo che soltanto la lotta deciderà
in quale misura (in fin dei conti) riusciremo ad avanzare, quale parte del
compito incomparabilmente elevato noi adempiremo, quale parte delle nostre
vittorie consolideremo. Chi vivrà vedrà. Ma noi vediamo fin d'ora che si è
fatto un lavoro enorme, gigantesco - in un paese devastato, esaurito,
arretrato - per la causa della trasformazione socialista della società.
Concludiamo, tuttavia, sul contenuto democratico-borghese della nostra
rivoluzione. I marxisti devono comprendere che cosa significa questo.
Prendiamo, a chiarimento, degli esempi evidenti.
Dire che la rivoluzione ha un contenuto democratico-borghese significa
che i rapporti sociali (il regime, le istituzioni) del paese si sono
epurati da tutto ciò che è medioevale, dalla servitù della gleba, dal
feudalesimo.
Quali erano nel 1917, in Russia, le principali manifestazioni, le
principali sopravvivenze, i principali residui della servitù della gleba?
La monarchia, la divisione in caste, la proprietà fondiaria, il godimento
della terra, la condizione della donna, la religione, l'oppressione
nazionale. Prendete una qualunque di queste "stalle di Augia", - che, tra
parentesi, sono state lasciate in condizioni di notevole sporcizia in
tutti gli Stati più progrediti dopo il compimento della loro rivoluzione
democratico-borghese centoventicinque, duecentocinquanta e più anni fa
(1649 in Inghilterra), - prendete una qualunque di queste stalle di Augia
e vedrete che noi le abbiamo ripulite completamente. In poco più di dieci
settimane, - dal 25 ottobre (7 novembre) 1917, allo scioglimento
dell'Assemblea costituente (5 gennaio 1918) - abbiamo fatto in questo
campo mille volte più dei democratici e liberali borghesi (cadetti) e dei
democratici piccolo-borghesi (menscevichi e socialisti-rivoluzionari)
negli otto mesi del loro potere.
Questi vili, questi chiacchieroni, questi Narcisi innamorati di se stessi,
queste figure amletiche, minacciavano con spade di cartone e non hanno
neppure distrutto la monarchia! Noi abbiamo spazzato via tutto il luridume
monarchico come nessun altro aveva mai fatto. Noi non abbiamo lasciato
pietra su pietra, mattone su mattone dell'edificio secolare delle caste (i
paesi più avanzati come l'Inghilterra, la Francia, la Germania non si sono
ancora sbarazzati fino ad oggi dei resti del regime di casta!). Le radici
più profonde del regime di casta, e precisamente i residui del feudalesimo
e di servaggio nella proprietà fondiaria, sono state divelte completamente
da noi. "Si può discutere" (vi sono all'estero abbastanza letterati,
cadetti, menscevichi e socialisti-rivoluzionari che s'interessano a queste
discussioni) su che cosa, "in fin dei conti", verrà fuori dalle
trasformazioni agrarie della grande rivoluzione d'ottobre. Per il momento
non abbiamo nessun desiderio di sprecare il tempo in queste discussioni,
giacché noi decidiamo le controversie e tutte le relative polemiche con la
lotta. Ma non si può contestare il fatto che, per otto mesi, i democratici
piccolo-borghesi "si sono conciliati" con i grandi proprietari fondiari, i
quali conservavano le tradizioni della servitù della gleba, e che noi, in
qualche settimana, abbiamo completamente cancellato dalla faccia della
terra russa questi grandi proprietari fondiari e tutte le loro tradizioni.
Prendete la religione o le condizioni della donna, priva di ogni diritto,
oppure l'oppressione e l'ineguaglianza giuridica delle nazioni non russe.
Questi sono tutti problemi della rivoluzione democratico-borghese. Gli
zoticoni della democrazia piccolo-borghese ne hanno chiacchierato per otto
mesi. In neppure uno dei paesi più avanzati del mondo questi problemi sono
stati risolti interamente in senso democratico-borghese. Da noi sono stati
risolti completamente dalla legislazione della rivoluzione d'ottobre. Noi
abbiamo lottato e lottiamo seriamente contro la religione. Noi abbiamo
dato a tutte le nazionalità non russe le loro proprie repubbliche o
regioni autonome. Da noi, in Russia, non esiste quell'ignominia,
quell'obbrobrio, quella viltà che è la negazione totale o parziale dei
diritti delle donne, indegna sopravvivenza della servitù della gleba e del
medioevo, rinvigorita dalla cupida borghesia e dalla piccola borghesia
imbecille e timorosa in tutti, senza eccezione, i paesi del globo
terrestre.
Tutto ciò è il contenuto della rivoluzione democratico-borghese.
Centocinquanta o duecentocinquant'anni fa, i capi più avanzati di tale
rivoluzione (di tali rivoluzioni, se si vuol parlare di ogni forma
nazionale di un unico tipo generale) hanno promesso ai popoli di liberare
l'umanità dai privilegi medioevali, dall'ineguaglianza della donna, dai
vantaggi concessi dallo Stato a questa o a quella religione (o all'"idea
religiosa", alla "religiosità" in generale), dall'ineguaglianza delle
nazioni. Hanno promesso, ma non hanno mantenuto. Non hanno potuto
mantenere perché sono stati ostacolati dal "rispetto" per la "sacra
proprietà privata". Nella nostra rivoluzione proletaria questo maledetto
"rispetto" per questo medioevo tre volte maledetto e per questa "sacra
proprietà privata" non c'è stato.
Ma, al fine di consolidare per i popoli della Russia le conquiste della
rivoluzione democratica borghese, noi dovevamo spingerci oltre e ci siamo
spinti oltre. Abbiamo risolto i problemi della rivoluzione democratica
borghese cammin facendo, come un "prodotto accessorio" del nostro lavoro
vero ed essenziale, del nostro lavoro proletario-rivoluzionario,
socialista. Le riforme - abbiamo sempre detto - sono un prodotto
accessorio della lotta rivoluzionaria di classe. Le trasformazioni
democratiche borghesi - abbiamo detto e dimostrato con i fatti - sono un
prodotto accessorio della rivoluzione proletaria, cioè socialista.
D'altronde, tutti i Kautsky, Hilferding, Martov, Cernov, Hillquit,
Longuet, MacDonald, Turati e gli altri eroi del marxismo "due e mezzo" non
hanno saputo comprendere tale nesso tra rivoluzione democratica borghese e
rivoluzione proletaria socialista. La prima si trasforma nella seconda. La
seconda risolve cammin facendo i problemi della prima. La seconda
consolida l'opera della prima. La lotta e soltanto la lotta decide sino a
qual punto la seconda riesce nel suo sviluppo a superare la prima.
Il regime sovietico è appunto una delle conferme o manifestazioni evidenti
di questa trasformazione di una rivoluzione nell'altra. Il regime
sovietico significa massima democrazia per gli operai e i contadini e, al
tempo stesso, rottura con la democrazia borghese e comparsa di un nuovo
tipo di democrazia di importanza storica mondiale, e precisamente della
democrazia proletaria o dittatura del proletario.
I cani e i porci della borghesia moribonda e della democrazia
piccolo-borghese, che si trascinano al suo seguito, ci coprano pure di un
cumulo di maledizioni, di ingiurie, di beffe per i nostri insuccessi ed i
nostri errori nell'organizzazione del nostro regime sovietico. Noi non
dimentichiamo, neanche per un minuto, che abbiamo effettivamente subìto e
subiamo molti scacchi, abbiamo commesso e commettiamo tuttora molti
errori. Come se si potessero evitare gli scacchi e gli errori in
un'impresa nuova, nuova per tutta la storia del mondo, qual è la creazione
di un tipo di struttura statale che non ha esempi! Noi lotteremo
inflessibilmente per rimediare ai nostri scacchi e ai nostri errori, per
migliorare l'applicazione, ancora ben lontana dall'essere perfetta, dei
princìpi sovietici. Ma abbiamo il diritto di esser fieri - e siamo fieri -
che ci sia toccata la fortuna d'incominciare la costruzione dello Stato
sovietico, d'iniziare perciò una nuova epoca della storia mondiale,
l'epoca del dominio di una nuova classe, oppressa in tutti i paesi
capitalistici e che dappertutto marcia verso una vita nuova, verso la
vittoria sulla borghesia, verso la dittatura del proletariato, verso la
liberazione dell'umanità dal giogo del capitale, dalle guerre imperialiste.
Il problema delle guerre imperialiste, di quella politica internazionale
del capitale finanziario che oggi predomina in tutto il mondo, che fa
nascere inevitabilmente nuove guerre imperialiste e che genera
inevitabilmente una intensificazione inaudita dell'oppressione nazionale,
del saccheggio, del brigantaggio, del soffocamento delle piccole nazioni
deboli e arretrate ad opera di un pugno di potenze "più avanzate", questo
problema è stato, fin dal 1914, il problema fondamentale di tutta la
politica di tutti i paesi del mondo. È questa una questione di vita o di
morte per decine di milioni di uomini. La questione sta in questi termini:
nella prossima guerra imperialista - che la borghesia prepara sotto i
nostri occhi, che sorge dal capitalismo sotto i nostri occhi - si
massacreranno 20 milioni di uomini (invece di 10 milioni uccisi nella
guerra del 1914-1918 e nelle "piccole" guerre complementari, non ancora
finite); saranno mutilati - in questa prossima guerra, inevitabile (se si
manterrà il capitalismo) - 60 milioni di uomini (invece di 30 milioni di
mutilati nel 1914-1918). Anche in questa questione, la nostra rivoluzione
d'ottobre ha iniziato una nuova epoca nella storia mondiale. I servitori
della borghesia e i loro portavoce (i socialisti-rivoluzionari, i
menscevichi e tutta la democrazia piccolo-borghese, sedicente
"socialista", di tutto il mondo) schernivano la parola d'ordine della
"trasformazione della guerra imperialista in guerra civile". Ma questa
parola d'ordine è risultata l'unica verità, sgradevole, brutale, nuda,
crudele - questo è giusto - ma una verità fra le miriadi degli inganni
sciovinisti e pacifisti più raffinati. Questi inganni si dissipano. La
pace di Brest è smascherata. Ogni giorno, inesorabilmente, si smascherano
sempre più la portata e le conseguenze della pace di Versailles, peggiore
ancora di quella di Brest. E sempre più chiara, sempre più precisa, sempre
più ineluttabile, davanti a milioni e milioni di uomini che meditano sulle
cause della guerra di ieri e della incombente guerra futura, sorge la
terribile verità: non ci si può liberare dalla guerra imperialista e dalla
pace (se avessimo ancora la vecchia ortografia, scriverei qui due volte la
parola mir nei suoi due significati) imperialista che inevitabilmente la
genera, non ci si può strappare a quest'inferno se non con la lotta
bolscevica e la rivoluzione bolscevica.
La borghesia e i pacifisti, i generali e i piccoli borghesi, i capitalisti
e i filistei, tutti i cristiani credenti e tutti i paladini della II
Internazionale e della Internazionale due e mezzo insultino pure
furiosamente questa rivoluzione. Con tutto il loro torrente di malvagità,
di calunnie e di menzogne essi non oscureranno il fatto, d'importanza
storica mondiale, che, per la prima volta dopo centinaia di migliaia di
anni, gli schiavi hanno risposto alla guerra tra i padroni di schiavi con
l'aperta proclamazione della parola d'ordine: trasformiamo questa guerra
tra schiavisti per la ripartizione del bottino in una guerra degli schiavi
di tutte le nazioni contro gli schiavisti di tutte le nazioni!
Per la prima volta dopo centinaia e migliaia di anni questa parola
d'ordine si è trasformata, da confusa e impotente aspettazione, in un
programma politico chiaro e preciso, in una lotta attiva di milioni di
oppressi sotto la guida del proletariato, in una prima vittoria del
proletariato, in una prima vittoria della causa dell'unione degli operai
di tutti i paesi contro l'unione della borghesia delle diverse nazioni, di
quella borghesia che fa la guerra e conclude la pace a spese degli schiavi
del capitale, a spese degli operai salariati, a spese dei contadini, a
spese dei lavoratori. Questa prima vittoria non è ancora una vittoria
definitiva ed è stata ottenuta dalla nostra rivoluzione d'ottobre
attraverso ostacoli e difficoltà senza uguali, sofferenze inaudite,
attraverso una serie di insuccessi e di errori grandissimi da parte
nostra. Come se, da solo, un popolo arretrato avesse potuto vincere senza
insuccessi e senza errori le guerre imperialiste dei paesi più potenti e
più avanzati del mondo! Noi non abbiamo paura di riconoscere i nostri
errori e li esaminiamo spassionatamente per imparare a correggerli. Ma il
fatto rimane: per la prima volta, dopo centinaia e migliaia di anni, la
promessa di "rispondere" alla guerra tra gli schiavisti con la rivoluzione
degli schiavi contro tutti gli schiavisti è stata mantenuta fino in fondo
e lo è stata malgrado tutte le difficoltà.
Noi abbiamo cominciato quest'opera. Quando, entro che termine
precisamente, i proletari la condurranno a termine? Ed a quale nazione
apparterranno coloro che la condurranno a termine? Non è questa la
questione essenziale. È essenziale il fatto che il ghiaccio è rotto, la
via è aperta, la strada è segnata.
Continuate pure le vostre ipocrisie, signori capitalisti di tutti i paesi,
che "difendete la patria" giapponese contro quella americana, l'americana
contro la giapponese, la francese contro l'inglese, ecc.! E voi, signori
paladini della II Internazionale e della Internazionale due e mezzo,
insieme con tutti i piccoli borghesi pacifisti e tutti i filistei del
mondo, continuate pure a "eludere" la questione dei mezzi di lotta contro
le guerre imperialiste con dei nuovi "manifesti di Basilea" (sul modello
del Manifesto di Basilea nel 1912). Alla guerra imperialista, alla pace
imperialista, la prima rivoluzione bolscevica ha strappato i primi cento
milioni di uomini. Le rivoluzioni successive strapperanno a simili guerre
ed a simili paci l'umanità intera.
E l'ultima nostra opera - la più importante, la più difficile, la più
incompiuta - è l'organizzazione economica, la costruzione di una base
economica per il nuovo edificio socialista che sostituisce quello vecchio
e feudale distrutto, e quello capitalista semidistrutto. In questa opera,
che è la più difficile e la più importante, abbiamo, più che in ogni
altra, subìto insuccessi e commesso errori. Come se si potesse
incominciare senza insuccessi e senza errori un'opera simile, nuova al
mondo! Ma noi l'abbiamo iniziata. Noi la continuiamo. Noi correggiamo
appunto ora, con la nostra "nuova politica economica", tutta una serie di
errori da noi commessi, impariamo come si deve proseguire nella
costruzione dell'edificio socialista, in un paese di piccoli contadini,
senza cadere in questi errori.
Le difficoltà sono immense. Noi siamo abituati a lottare contro difficoltà
immense. Non per nulla i nostri nemici ci hanno soprannominato uomini
"granitici" e rappresentanti di una "politica che spezza le ossa". Ma noi
abbiamo imparato anche, per lo meno sino a un certo punto, un'altra arte,
necessaria alla rivoluzione: la flessibilità, la capacità di cambiare
rapidamente e bruscamente la nostra tattica, di tenere in considerazione i
mutamenti delle condizioni obiettive, di scegliere una nuova via verso il
nostro scopo se quella di prima si è dimostrata inapplicabile, impossibile
per un determinato periodo di tempo.
Trasportati dall'ondata dell'entusiasmo e avendo risvegliato l'entusiasmo
popolare - prima genericamente politico e poi militare - noi contavamo di
adempiere direttamente, sulla base di questo entusiasmo, anche i compiti
economici non meno grandi di quelli politici e di quelli militari. Noi
contavamo - o forse, più esattamente, ci proponevamo, senza aver fatto un
calcolo sufficiente - di organizzare, con ordini diretti dello Stato
proletario, la produzione statale e la ripartizione statale dei prodotti
su base comunista in un paese di piccoli contadini. La vita ci ha rivelato
il nostro errore. Occorreva una serie di fasi transitorie: il capitalismo
di Stato e il socialismo, per preparare - con un lavoro di una lunga serie
d'anni - il passaggio al comunismo. Non direttamente sull'entusiasmo, ma
con l'aiuto dell'entusiasmo nato dalla grande rivoluzione, basandovi sullo
stimolo personale, sull'interesse personale, sul calcolo economico,
prendetevi la pena di costruire dapprima un solido ponte che, in un paese
di piccoli contadini, attraverso il capitalismo di Stato, conduca verso il
socialismo, altrimenti voi non arriverete al comunismo, altrimenti voi non
condurrete decine e decine di milioni di uomini al comunismo. Questo ci ha
detto la vita. Questo ci ha detto il corso obiettivo seguito dalla
rivoluzione.
E noi, che in tre o quattro anni abbiamo imparato un poco a compiere
svolte repentine (quando sono necessarie), abbiamo cominciato con zelo,
con attenzione, con perseveranza (benché non ancora con abbastanza zelo,
con attenzione e perseveranza) a studiare la nuova svolta della "nuova
politica economica". Lo Stato proletario deve diventare un "padrone"
cauto, scrupoloso, esperto, un commerciante all'ingrosso puntuale, perché
altrimenti non potrà mettere economicamente sulla buona via un paese di
piccoli contadini. Oggi, nelle condizioni attuali, accanto all'occidente
capitalista (ancora capitalista per il momento), non c'è altro mezzo per
passare al comunismo. Un commerciante all'ingrosso sembrerebbe un tipo
economico lontano dal comunismo come il cielo dalla terra. Ma questa è
appunto una delle contraddizioni che, nella vita reale, attraverso il
capitalismo di Stato, conducono dalla piccola azienda contadina al
socialismo. L'interesse personale eleva la produzione, e noi abbiamo
bisogno dell'aumento della produzione, innanzi tutto e a qualunque costo.
Il commercio all'ingrosso unisce economicamente milioni di piccoli
contadini, in quanto li interessa, li spinge a gradini economici
superiori, a diverse forme di collegamento e di associazione nella
produzione stessa. Noi abbiamo già cominciato la necessaria
riorganizzazione della nostra politica economica. In questo campo
registriamo già alcuni successi, non grandi, è vero, parziali, ma
indubbiamente dei successi. Noi siamo già alla fine del corso preparatorio
in questo campo della nuova "scienza". Con uno studio tenace e
perseverante, verificando praticamente l'esperienza di ogni nostro passo,
non temendo di rifare più volte ciò che si è incominciato, correggendo i
nostri errori, considerandone attentamente il significato, noi passeremo
anche nelle classi successive. Noi seguiremo tutto il "corso" quantunque
le circostanze della economia e della politica mondiale lo abbiano reso
molto più lungo e difficile di quanto non avremmo voluto. Per quanto siano
dure le sofferenze del periodo di transizione, le calamità, la fame, lo
sfacelo, noi non ci perderemo d'animo e, ad ogni costo, condurremo la
nostra causa a una conclusione vittoriosa.
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