.sergio.
2008-11-19 12:33:41 UTC
Sulla nostra Rivoluzione
(A proposito delle note di N. Sukhanov)
pubblicato per la prima volta nella Pravda n. 117, 30 maggio 1923
I.
Ho sfogliato in questi giorni le note di Sukhanov sulla rivoluzione. Balza
particolarmente agli occhi il pedantismo di tutti i nostri democratici
piccolo-borghesi, come pure di tutti gli eroi della II Internazionale.
Senza neppur parlare del fatto che essi sono straordinariamente vili, che
perfino i migliori di essi fanno un mucchio di riserve quando si tratta di
scostarsi anche minimamente dal modello tedesco, senza neppure parlare di
questo tratto proprio di tutti i democratici piccolo-borghesi e che essi
hanno sufficientemente rivelato durante tutta la rivoluzione, ciò che
balza agli occhi è la loro servile imitazione del passato.
Essi si definiscono tutti marxisti, ma intendono il marxismo con
incredibile pedanteria. Essi non hanno affatto compreso ciò che vi è di
decisivo nel marxismo, e cioè la sua dialettica rivoluzionaria. Nemmeno la
precisa affermazione di Marx, secondo cui nei momenti rivoluzionari
occorre la massima duttilità (1), essi non l'hanno assolutamente compresa.
Per esempio, non hanno neppure notato le indicazioni di Marx, nel suo
carteggio, se ben ricordo, del 1856, in cui egli esprimeva la speranza che
in Germania una guerra di contadini, capace di creare una situazione
rivoluzionaria, si unisse con il movimento operaio (2). Essi eludono
persino questa indicazione diretta e vi girano intorno come un gatto
intorno ad un pentola di latte bollente.
In tutta la loro condotta essi si dimostrano vili riformisti i quali
temono di allontanarsi dalla borghesia, e tanto più di rompere con essa, e
mascherano, nello stesso tempo, la loro viltà con la più sgangherata
fraseologia e millanteria. Ma ciò che balza agli occhi anche da un punto
di vista puramente teorico è la loro assoluta incapacità di comprendere le
seguenti considerazioni del marxismo. Essi hanno visto sinora una certa
via di sviluppo del capitalismo e della democrazia borghese nell'Europa
occidentale, e non possono immaginarsi che questa via non possa esser
presa come modello, se non mutatis mutandis, con alcune correzioni
(assolutamente insignificanti dal punto di vista della storia mondiale).
Primo. Una rivoluzione legata alla prima guerra imperialista mondiale. In
una rivoluzione simile dovevano manifestarsi caratteri nuovi o
modificazioni di forma appunto in dipendenza della guerra, perché non v'è
mai stata al mondo una simile guerra, in una tale situazione. Noi vediamo
che finora, dopo questa guerra, la borghesia dei paesi più ricchi non può
stabilire rapporti borghesi «normali», ma i nostri riformisti - i piccoli
borghesi che si dànno l'aria di rivoluzionari - considerano ancora questi
rapporti borghesi normali come un limite (che non si deve sorpassare), e
intendono inoltre questa «normalità» in un modo estremamente banale e
ristretto.
Secondo. Èloro completamente estranea l'idea che, nello sviluppo secondo
le leggi generali di tutta la storia mondiale, non si escludono affatto,
ma, al contrario, si suppongono singole fasi, le quali presentano delle
particolarità sia nella forma che nell'ordine di questo sviluppo. Non
passa loro neanche per la testa, per esempio, che la Russia - la quale sta
alla frontiera tra i paesi civili e i paesi attratti definitivamente da
questa guerra per la prima volta nell'orbita della civiltà, i paesi di
tutto l'Oriente, i paesi non europei - poteva e doveva manifestare alcuni
caratteri peculiari, i quali naturalmente sono compresi nella linea
generale dello sviluppo mondiale, ma distinguono tuttavia la sua
rivoluzione da tutte le rivoluzioni precedenti dei paesi dell'Europa
occidentale e determinano alcune innovazioni parziali quando si passa ai
paesi orientali.
Per esempio, è infinitamente banale il loro argomento, studiato a memoria
durante lo sviluppo della socialdemocrazia dell'Europa occidentale,
secondo il quale noi non saremmo ancora maturi per il socialismo, e
secondo il quale da noi non esisterebbero, come dicono diversi signori
«scienziati» che militano nelle loro file, le premesse economiche
obiettive per il socialismo. E non viene in mente a nessuno di domandarsi:
ma un popolo che era davanti a una situazione rivoluzionaria; quale si era
creata nella prima guerra imperialista, sotto la spinta di una situazione
senza vie di uscita, non poteva forse gettarsi in una lotta che gli apriva
almeno qualche speranza di conquistarsi condizioni non del tutto ordinarie
per un ulteriore progresso della civiltà?
«La Russia non ha raggiunto il livello di sviluppo delle forme produttive
sulla base del quale è possibile il socialismo». Tutti gli eroi della II
Internazionale, compreso naturalmente Sukhanov, presentano questa tesi
come oro colato. Questa tesi indiscutibile, la rimasticano continuamente e
la considerano come decisiva per l'apprezzamento della nostra rivoluzione.
Ma che cosa fare se l'originalità della situazione ha innanzi tutto spinto
la Russia nella guerra imperialista mondiale, nella quale erano coinvolti
tutti i paesi dell'Europa occidentale che avevano una qualche influenza, e
poi creato per il suo sviluppo - sulla soglia della rivoluzione che sta
iniziando e in parte è già iniziata in Oriente - condizioni in cui noi
potevamo attuare precisamente quella unione della «guerra dei contadini»
con il movimento operaio, di cui parlava, come di una prospettiva
possibile, un «marxista» come Marx, nel 1856, a proposito della Prussia?
Che fare se la situazione, assolutamente senza vie d'uscita, decuplicava
le forze degli operai e dei contadini e ci apriva piú vaste possibilità di
creare le premesse fondamentali della civiltà, su una via diversa da
quella percorsa da tutti gli altri Stati dell'Europa occidentale? Forse
che per questo la linea generale dello sviluppo della storia mondiale si è
modificata? Si sono forse perciò cambiati i rapporti fondamentali tra le
classi principali di ogni Stato che è già stato coinvolto o che viene
attratto nel corso generale della storia mondiale?
Se per creare il socialismo occorre un certo grado di cultura (quantunque
nessuno possa dire quale sia di preciso questo certo «grado di cultura»,
dato che esso è diverso in ogni Stato dell'Europa occidentale), perché non
dovremmo allora cominciare con la conquista, per via rivoluzionaria, delle
premesse necessarie per questo certo grado, in modo da potere in seguito -
sulla base del potere operaio e contadino e del regime sovietico -
metterci in marcia per raggiungere gli altri popoli?
16 gennaio 1923
II
Per creare il socialismo, voi dite, occorre la civiltà. Benissimo. Perché
dunque da noi non avremmo potuto creare innanzi tutto quelle premesse
della civiltà che sono la cacciata dei grandi proprietari fondiari e la
cacciata dei capitalisti russi per poi cominciare la marcia verso il
socialismo? In quali libri avete letto che simili modificazioni del corso
normale della storia sono inammissibili o impossibili?
Napoleone, se bene ricordo, scrisse «On s'engage et puis... on voit».
Liberamente tradotto, ciò significa: «Prima bisogna impegnarsi in un
combattimento serio e poi si vedrà». Ed ecco che anche noi nell'ottobre
1917 ci siamo impegnati dapprima in un combattimento serio e soltanto dopo
abbiamo visto taluni particolari dello sviluppo (dal punto di vista della
storia mondiale, questi sono indubbiamente dei particolari), come la pace
di Brest, o la nuova politica economica, ecc. E oggi non v'è piú alcun
dubbio che, in linea generale, noi abbiamo ottenuto la vittoria.
I nostri Sukhanov, per non parlare dei socialdemocratici che si trovano
piú a destra di loro, non sognano nemmeno che, in generale, le rivoluzioni
non si possono fare in altro modo. I nostri piccoli borghesi europei non
sognano nemmeno che le successive rivoluzioni nei paesi dell'Oriente,
paesi incomparabilmente piú ricchi per popolazione e per l'infinita
varietà di condizioni sociali, presenteranno senza dubbio un'originalità
ancor maggiore di quella della rivoluzione russa.
Non c'è che dire, un manuale scritto alla maniera di Kautsky era molto
utile ai suoi tempi. Ma è ormai venuto il momento di abbandonare una buona
volta l'idea che questo manuale abbia previsto tutte le forme
dell'ulteriore sviluppo della storia mondiale. Coloro che pensano in
questo modo dovrebbero essere tempestivamente proclamati puri imbecilli.
17 gennaio 1923
Lenin
Note
1) Lenin allude qui evidentemente a quanto detto da Marx nella sua opera
La guerra civile in Francia e nella lettera a Kugelmann del 12 aprile 1871
2) Vedi la lettera di K. Marx a F. Engels del 16 aprile 1856
(A proposito delle note di N. Sukhanov)
pubblicato per la prima volta nella Pravda n. 117, 30 maggio 1923
I.
Ho sfogliato in questi giorni le note di Sukhanov sulla rivoluzione. Balza
particolarmente agli occhi il pedantismo di tutti i nostri democratici
piccolo-borghesi, come pure di tutti gli eroi della II Internazionale.
Senza neppur parlare del fatto che essi sono straordinariamente vili, che
perfino i migliori di essi fanno un mucchio di riserve quando si tratta di
scostarsi anche minimamente dal modello tedesco, senza neppure parlare di
questo tratto proprio di tutti i democratici piccolo-borghesi e che essi
hanno sufficientemente rivelato durante tutta la rivoluzione, ciò che
balza agli occhi è la loro servile imitazione del passato.
Essi si definiscono tutti marxisti, ma intendono il marxismo con
incredibile pedanteria. Essi non hanno affatto compreso ciò che vi è di
decisivo nel marxismo, e cioè la sua dialettica rivoluzionaria. Nemmeno la
precisa affermazione di Marx, secondo cui nei momenti rivoluzionari
occorre la massima duttilità (1), essi non l'hanno assolutamente compresa.
Per esempio, non hanno neppure notato le indicazioni di Marx, nel suo
carteggio, se ben ricordo, del 1856, in cui egli esprimeva la speranza che
in Germania una guerra di contadini, capace di creare una situazione
rivoluzionaria, si unisse con il movimento operaio (2). Essi eludono
persino questa indicazione diretta e vi girano intorno come un gatto
intorno ad un pentola di latte bollente.
In tutta la loro condotta essi si dimostrano vili riformisti i quali
temono di allontanarsi dalla borghesia, e tanto più di rompere con essa, e
mascherano, nello stesso tempo, la loro viltà con la più sgangherata
fraseologia e millanteria. Ma ciò che balza agli occhi anche da un punto
di vista puramente teorico è la loro assoluta incapacità di comprendere le
seguenti considerazioni del marxismo. Essi hanno visto sinora una certa
via di sviluppo del capitalismo e della democrazia borghese nell'Europa
occidentale, e non possono immaginarsi che questa via non possa esser
presa come modello, se non mutatis mutandis, con alcune correzioni
(assolutamente insignificanti dal punto di vista della storia mondiale).
Primo. Una rivoluzione legata alla prima guerra imperialista mondiale. In
una rivoluzione simile dovevano manifestarsi caratteri nuovi o
modificazioni di forma appunto in dipendenza della guerra, perché non v'è
mai stata al mondo una simile guerra, in una tale situazione. Noi vediamo
che finora, dopo questa guerra, la borghesia dei paesi più ricchi non può
stabilire rapporti borghesi «normali», ma i nostri riformisti - i piccoli
borghesi che si dànno l'aria di rivoluzionari - considerano ancora questi
rapporti borghesi normali come un limite (che non si deve sorpassare), e
intendono inoltre questa «normalità» in un modo estremamente banale e
ristretto.
Secondo. Èloro completamente estranea l'idea che, nello sviluppo secondo
le leggi generali di tutta la storia mondiale, non si escludono affatto,
ma, al contrario, si suppongono singole fasi, le quali presentano delle
particolarità sia nella forma che nell'ordine di questo sviluppo. Non
passa loro neanche per la testa, per esempio, che la Russia - la quale sta
alla frontiera tra i paesi civili e i paesi attratti definitivamente da
questa guerra per la prima volta nell'orbita della civiltà, i paesi di
tutto l'Oriente, i paesi non europei - poteva e doveva manifestare alcuni
caratteri peculiari, i quali naturalmente sono compresi nella linea
generale dello sviluppo mondiale, ma distinguono tuttavia la sua
rivoluzione da tutte le rivoluzioni precedenti dei paesi dell'Europa
occidentale e determinano alcune innovazioni parziali quando si passa ai
paesi orientali.
Per esempio, è infinitamente banale il loro argomento, studiato a memoria
durante lo sviluppo della socialdemocrazia dell'Europa occidentale,
secondo il quale noi non saremmo ancora maturi per il socialismo, e
secondo il quale da noi non esisterebbero, come dicono diversi signori
«scienziati» che militano nelle loro file, le premesse economiche
obiettive per il socialismo. E non viene in mente a nessuno di domandarsi:
ma un popolo che era davanti a una situazione rivoluzionaria; quale si era
creata nella prima guerra imperialista, sotto la spinta di una situazione
senza vie di uscita, non poteva forse gettarsi in una lotta che gli apriva
almeno qualche speranza di conquistarsi condizioni non del tutto ordinarie
per un ulteriore progresso della civiltà?
«La Russia non ha raggiunto il livello di sviluppo delle forme produttive
sulla base del quale è possibile il socialismo». Tutti gli eroi della II
Internazionale, compreso naturalmente Sukhanov, presentano questa tesi
come oro colato. Questa tesi indiscutibile, la rimasticano continuamente e
la considerano come decisiva per l'apprezzamento della nostra rivoluzione.
Ma che cosa fare se l'originalità della situazione ha innanzi tutto spinto
la Russia nella guerra imperialista mondiale, nella quale erano coinvolti
tutti i paesi dell'Europa occidentale che avevano una qualche influenza, e
poi creato per il suo sviluppo - sulla soglia della rivoluzione che sta
iniziando e in parte è già iniziata in Oriente - condizioni in cui noi
potevamo attuare precisamente quella unione della «guerra dei contadini»
con il movimento operaio, di cui parlava, come di una prospettiva
possibile, un «marxista» come Marx, nel 1856, a proposito della Prussia?
Che fare se la situazione, assolutamente senza vie d'uscita, decuplicava
le forze degli operai e dei contadini e ci apriva piú vaste possibilità di
creare le premesse fondamentali della civiltà, su una via diversa da
quella percorsa da tutti gli altri Stati dell'Europa occidentale? Forse
che per questo la linea generale dello sviluppo della storia mondiale si è
modificata? Si sono forse perciò cambiati i rapporti fondamentali tra le
classi principali di ogni Stato che è già stato coinvolto o che viene
attratto nel corso generale della storia mondiale?
Se per creare il socialismo occorre un certo grado di cultura (quantunque
nessuno possa dire quale sia di preciso questo certo «grado di cultura»,
dato che esso è diverso in ogni Stato dell'Europa occidentale), perché non
dovremmo allora cominciare con la conquista, per via rivoluzionaria, delle
premesse necessarie per questo certo grado, in modo da potere in seguito -
sulla base del potere operaio e contadino e del regime sovietico -
metterci in marcia per raggiungere gli altri popoli?
16 gennaio 1923
II
Per creare il socialismo, voi dite, occorre la civiltà. Benissimo. Perché
dunque da noi non avremmo potuto creare innanzi tutto quelle premesse
della civiltà che sono la cacciata dei grandi proprietari fondiari e la
cacciata dei capitalisti russi per poi cominciare la marcia verso il
socialismo? In quali libri avete letto che simili modificazioni del corso
normale della storia sono inammissibili o impossibili?
Napoleone, se bene ricordo, scrisse «On s'engage et puis... on voit».
Liberamente tradotto, ciò significa: «Prima bisogna impegnarsi in un
combattimento serio e poi si vedrà». Ed ecco che anche noi nell'ottobre
1917 ci siamo impegnati dapprima in un combattimento serio e soltanto dopo
abbiamo visto taluni particolari dello sviluppo (dal punto di vista della
storia mondiale, questi sono indubbiamente dei particolari), come la pace
di Brest, o la nuova politica economica, ecc. E oggi non v'è piú alcun
dubbio che, in linea generale, noi abbiamo ottenuto la vittoria.
I nostri Sukhanov, per non parlare dei socialdemocratici che si trovano
piú a destra di loro, non sognano nemmeno che, in generale, le rivoluzioni
non si possono fare in altro modo. I nostri piccoli borghesi europei non
sognano nemmeno che le successive rivoluzioni nei paesi dell'Oriente,
paesi incomparabilmente piú ricchi per popolazione e per l'infinita
varietà di condizioni sociali, presenteranno senza dubbio un'originalità
ancor maggiore di quella della rivoluzione russa.
Non c'è che dire, un manuale scritto alla maniera di Kautsky era molto
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volta l'idea che questo manuale abbia previsto tutte le forme
dell'ulteriore sviluppo della storia mondiale. Coloro che pensano in
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